Perché Leonardo da Vinci desiderava volare? Cosa spinge l'uomo a conoscere la realtà e a divulgare quello che sa? E la virtù può essere insegnata? Sono alcune delle domande "rimbalzate" sul palcoscenico del Teatro Oscar di Milano attraverso il progetto "ScienzaInScena" dedicati rispettivamente al più grande genio dell'umanità e a Platone, il filosofo autore del Menone, dialogo immaginario tra il giovane discepolo del sofista Gorgia con Socrate e con il suo antagonista Anito sull'essenza e il significato della virtù e sulla teoria dell'anamnesi. Con Il Codice del Volo e I numeri dell'Anima, testi scritti e diretti da Marinella Anaclerio e Flavio Albanese (anche interprete principale delle pièce con Loris Leoci e Roberto De Chirico della Compagnia del Sole di Bari), sono stati affrontati i delicati temi dello spirito e del pensiero in un esperimento culturale unico che ha trovato un sorprendente, positivo riscontro da parte del pubblico milanese. Due rappresentazioni drammaturgiche nelle quali scienza e filosofia sono state presentate agli spettatori in modo semplice, come un invito a riflettere intorno al magistero di due grandi maestri della storia dell'Umanità e quindi su se stessi e sulla natura. In scena, Leonardo con le sue idee, i segreti, i sogni, le peripezie che ne hanno guidato l'opera, è stato raccontato dal giovane allievo Zoroastro, protagonista, con lui, dell'ardita invenzione della "macchina per volare". L'attore Flavio Albanese ha cercato di svelare anche i lati più complessi della personalità dello scienziato e artista toscano. Si è indagato sull'inquieta tensione dell'uomo verso la scoperta e sulla sua incredibile capacità di arrivare fino ai limiti della natura: "Tutto è sempre sotto i nostri occhi - commenta Albanese - perché l'esperienza non fallisce mai, falliscono semmai i nostri giudizi e poiché nulla accade senza una ragione, bisogna cercare di comprenderla ogni volta appieno per valutare bene quello che stiamo sperimentando". Questioni filosofiche senza tempo, invece, hanno contraddistinto "il ragionamento platonico" di Menone nel quale gli spettatori sono stati coinvolti direttamente in un gioco fatto di leggi matematiche e geometriche con continui, ironici, pungenti rimandi all'attualità politica e sociale: a dimostrazione di come un testo scritto oltre duemila anni fa possa incidere ancora nel giudizio su ciò che accade oggi nel mondo. (Fulvio Fulvi, Avvenire)
È stato in scena in questi giorni nella Scatola magica del Teatro Strehler di Milano uno spettacolo per ragazzi delle ultime classi delle elementari e delle medie che racconta di Leonardo, dei suoi studi, delle sue invenzioni, dei suoi fallimenti, delle sue amicizie, dell’incredibile storia di quella bottega artistica a cielo aperto che è stata Firenze durante il Rinascimento dove poteva capitare che dei geni lavorassero gomito a gomito. Il punto di partenza di questo delizioso spettacolo è Il Codice del volo, conservato nella Biblioteca Reale di Torino, composto da Leonardo intorno al 1505, dove il grande artista- scienziato studia e analizza con scritti e disegni il volo degli uccelli e si interroga sulla possibilità di alzarsi da terra su di una macchina volante grazie a un uomo in grado di gestire e di usare le correnti favorevoli. Problema che Leonardo affrontò con il suo allievo Tommaso Masini sul Monte Ceceri vicino a Firenze, in un tentativo che non andò a buon fine. Il volo di Leonardo che Flavio Albanese ha tratto da questo Codice ricostruisce con un linguaggio semplice ma colmo di fantasia e prendendosi anche qualche libertà, le riflessioni, le ricerche, i sogni, lo sguardo visionario rivolto al futuro del genio di Vinci che ci vengono raccontati proprio da Tommaso in un ideale, continuo dialogo con il suo famoso maestro. Con il suo sguardo intelligente Albanese sfugge alle secche della narrazione noiosa: quello che gli sta a cuore, semmai, è creare una sintonia con il suo esigente ma disponibile pubblico, che segue passo passo il racconto, pronto a intervenire non appena se ne offre l’occasione, in fin dei conti affascinato dall’immagine di Leonardo che gli propone l’attore, così lontana dal nozionismo dei libri. Quello che interessa davvero a questi spettatori è non solo come l’acqua del mare e dei fiumi possa salire al cielo ma soprattutto l’invito che Flavio Albanese spesso rivolge loro di saper affinare la propria attenzione per essere, quando gli capiterà, in grado di cogliere, di capire il senso dell’esperienza, il valore di una ricerca anche se fallisce come nel caso del volo di Tommaso. Albanese non ha bisogno di trucchi per attirare l’attenzione di suoi spettatori: un uccello di carta, due candide alucce simili a ali d’angelo, delle luci stroboscopiche, un telo azzurro gonfiato dalle macchine del vento per fare il mare, le stelle che brillano improvvisamente nel cielo, la terra che non è piatta anche se bisognerà aspettare Galileo per saperlo davvero, come dipingeva Leonardo con materiali destinati ben presto a sfaldarsi (succede al celeberrimo Cenacolo di Santa Maria delle Grazie a Milano...) quante suggestioni, quante idee si sviluppano, ci affascinano e perfino ci commuovono nella loro semplice eppur grandiosa verità... Tutto questo, Albanese attore a tutto tondo lo sa bene, ha a che fare con il teatro , con i suoi sogni e le sue illusioni. (Maria Grazia Gregori, MyWorld.it)
Il codice del volo propone un Leonardo personaggio simbolico dell’intelligenza e della creatività, dell’arte e del pensiero scientifico. Pittore, scultore, ingegnere, progettista di macchine industriali e di macchine da guerra, anatomista, studioso di fenomeni naturali, inventore universale, Leonardo fu anche uomo di spettacolo: scenografo, regista, costumista, autore di canzoni, poesie, persino di barzellette. Della sua feconda attività sono giunti sino a noi oltre diecimila fogli pieni di disegni, appunti, progetti, pensieri, studi. Tantissimo altro è andato perso. Appariva pertanto improba la fatica di Flavio Albanese: ricostruire, in soli settanta minuti, la parabola dinamica e innovativa di un grande genio all’italiana. Albanese non osa diventare Leonardo. Assume l’identità del suo allievo Tommaso Masini, detto Zoroastro. È a Masini che è affidato il racconto. La narrazione oscilla tra toni comici e lirici, con una freschissima parlata fiorentina. Dal brainstorming d’informazioni affiora l’immagine di un uomo profondamente innovatore. Un ingegno vulcanico che seppe esprimere al massimo livello del suo tempo il Rinascimento. Era fuori del suo tempo, in anticipo su tutto. In scena pochi oggetti: una lavagna, su cui è disegnato il volto di Leonardo; un camice, quasi a evocare l’ordinaria tenuta da lavoro di un ingegno la cui forza stava soprattutto nell’umiltà e nel senso di fallibilità. Poi un paio d’ali: perché la fantasia e l’ardire, con quel pizzico di follia, restano gli ingredienti base di qualunque impresa che si rispetti. Ogni tanto tra le mani di Albanese compare un salterio ad arco. Ne nascono antichi suoni rarefatti, vibrazioni dal vivo che sono tutt’uno con le note fuori campo di due grandi della musica: Bach, con il suo rigore geometrico da compasso sull’infinito, e Gian Battista Lulli che – come Leonardo – metterà la sua singolare sapienza di scrittura e la raffinatezza dei suoi spartiti al servizio di un’altra corte francese: quella di Luigi XIV. Le luci favoriscono un’attenzione meditativa. Sono sottili chiaroscuri, sulla scia della pittura di Leonardo, capace di cogliere gli affetti umani. Ogni tanto disegnano un cielo stellato, che rapisce lo sguardo dello spettatore. È un autentico crogiuolo questo spettacolo, con una disorganicità che assomiglia al modus operandi dello stesso Leonardo, capace di concentrare interessi vasti e diversi d’interpretare la natura, di affiancare all’anatomia dell’uomo un’anatomia delle macchine. Il suo talento capace di coniugarsi alla bellezza, si manifesta in un capolavoro come la Gioconda, dallo sguardo dolce e ambivalente. Albanese, capelluto e barbuto, incarna con levigatezza la saggezza di un uomo e lo spirito di un’epoca. Spiega che il luminare toscano approcciava ogni cosa a modo suo, come emerge dagli esperimenti in cucina sui bulbi oculari trattati come uova sode. Oppure narra come nacque l’affresco celeberrimo del Cenacolo nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, con Gesù al centro e intorno, a gruppi di tre, gli apostoli, oggetti di un accurato studio psicologico. Su tutto campeggia l’utopia del volo. Albanese rompe la quarta parete e dialoga soprattutto con i bambini, ai quali illustra amabilmente passaggi esemplificativi dello spettacolo. La vera protagonista dello spettacolo è la curiosità, l’inquieta tensione dell’uomo verso la scoperta, la voglia di volare oltre le leggi della fisica attraverso l’arte. Ed è proprio l’arte, il sogno, a ispessire l’incredibile capacità umana di oltrepassare i limiti che la natura sembra imporci. (Vincenzo Sardelli, Studi Cattolici)