Un romanzo storico, documentatissimo, che svela le origini del suo ingegno poliedrico a cominciare dalla storia della nascita, tutt’altro che semplice. Un bambino prodigio concepito, come dice lui stesso nei suoi appunti, “dal grande amore e gran desiderio delle parti”: l’amore impossibile tra un notaio ambizioso e una donna straordinaria con l’unico difetto di essere povera.Si chiamava Caterina e Leonardo l’accoglie il 16 di luglio 1493 nella sua casa di Milano. Il libro di Elisabeta Gavrilina, nel prologo, racconta con delicatezza e dolcezza la scena dell’incontro fra la madre e questo figlio misterioso. Caterina non ha mai visto i suoi dipinti ma ora che sono accatastati nella stanza, ne percepisce le presenze e i volti le sembrano tutti delicatamente familiari… Caterina non vede suo figlio da undici anni ed è ormai vedova e anziana, stanca dal lavoro in campagna e dalle gravidanze, intimorita dal lusso delle stanze, dagli arredi della casa del figlio, ormai celebre, e dalla personalità di Leonardo, al quale fa dono, fra l’altro, dei preziosi stami dei crochi che servono alla pittura.
Ma il racconto torna indietro nel tempo: nel 1451, ed è subito il ritratto del padre a emergere: un notaio, ser Piero da Vinci, un giovane ambizioso e povero che s’innamora della bella e sensuale Caterina da cui avrà questo Leonardo, figlio illegittimo: una condizione che influenzerà tutta la vita dell’artista e della sua famiglia. Come uno scenario di teatro, il libro inserisce la figura dell’artista nel seno di una società aperta: il borgo di Vinci e i suoi abitanti, la campagna toscana di questo periodo storico in cui Firenze era governata da un’oligarchia di mercanti, da ricche famiglie notarili e di banchieri come i Pazzi, i Vespucci, i Medici, i Rinuccini, etc. E poi i letterati, i filosofi come Marsilio Ficino, gli artisti (Lippi, Masaccio, Verrocchio che inventerà l’anello nunziale di ser Piero nel suo momento di apprendista orafo e che in seguito sarà il “maestro” di Leonardo…). Non siamo ancora nel Rinascimento pieno ma ogni dettaglio delle scene porta a questa apoteosi di gusto e di bellezza, di crudeltà e di meschineria in cui sfolgora come un miraggio la città ancora terreno di scontri tra fazioni, di giochi di potere, di libertà repubblicana e di fierezza. In questo contesto, Cosimo il Vecchio diventa sempre più influente e si allunga l’ombra dei Medici sulla città. Fra i piccoli possidenti di Vinci, non ricchi ma proprietari di una casa e di terre che danno frutti, erbe, cereali e animali, e di una fabbrica di maioliche, vi sono i nonni paterni di Leonardo e la sua famiglia: lo zio Francesco, un “libero pensatore” ante litteram che tanto influenzerà la sua formazione poliedrica, la fantesca Filomena, le donne del contado, le ricamatrici, le madonne e le contadine come sua madre, la splendida Caterina. Intanto ser Piero fatica ad affermarsi in Firenze presso il banchiere-usuraio Vanni, amico e creditore di tanti uomini influenti, che lo tratta come un figlio ignaro degli usi di mondo; uno sprovveduto figlio di Antonio del borgo di Vinci, il “villico” anche se suo nonno era stato notaio. Ser Piero è seducente, e le donne lo ricercano, fra queste cittadine lui sceglie come moglie “giusta” per la sua condizione, monna Albiera, figlia di Giovanni Amadori, amico del ricco banchiere Piero Mellini e nella sfera della famiglia Pazzi. A Vinci Caterina sa di aspettare un figlio da lui e si rivolge, com’era costume, alla famiglia di Ser Piero che le propone di assisterla ma a condizione che si mariti con qualcuno della sua condizione e che affidi il bimbo alla famiglia del padre. Monna Lucia, la nonna, accoglie questo bimbo bellissimo fra le sue braccia il mese di aprile del 1452 e il nonno annota nel suo registro di famiglia: “Nacque mio nipote, figliolo di ser Piero mio figliolo, a di’ 15 d’aprile, in sabato a ore 3 di notte. Ebbe nome Lionardo…” (Firenze, Archivio di Stato, Notarile Antecosimiano 16912,c,105 v.), seguono i nomi del sacerdote che lo battezzò, dei padrini, le madrine, insomma di quasi tutto il contado.
Così Lionardo appena svezzato entrò in casa di nonno Antonio; vide poco Caterina che accorreva al suo capezzale solo quando era malato e che si sposò con un uomo d’armi , un ex mercenario che insegnerà a Lionardo come difendersi nelle “bagarres” e l’uso delle armi. Un tal Antonio di Pietro Buti, tornato alla campagna e che abitava in un villaggio vicino a Vinci.
Il libro incanta per la lucentezza delle figure in pieno sole di questa campagna toscana d’altri tempi, in cui il borgo era una comunità solidale, che “assorbiva” le solitudini e le “eccezioni” come anche nella campagna fiamminga e tedesca e in ogni società rurale di questo fine Medioevo assai meno bigotto e conformista dei secoli a venire presi nelle beghe di Riforma e Controriforma. I nuclei familiari erano “aperti” e le famiglie allargate. Feste religiose e ancora pagane, balli, stornellate, “dispetti”, tragedie, lutti, ogni vicenda spariva nella comunità e ne era governata. Il borgo Vinci, in Toscana, provincia di Siena. La storia di Lionardo fanciullo fu felice: con lo zio Francesco: in giro per le campagne di Vinci, Empoli etc. Lo zio “fattore” dei pochi ma consistenti beni della famiglia di Ser Antonio. Una comunità sempre presente, vigile e condiscendente verso la birba che era il loro amatissimo Lionardo. Nel contado: i suoi compagni, i figli del borgo. In questo contesto, lui da subito spicca con il suo spirito curioso, libero, ribelle, felice nel e del mondo; sorretto dalla meraviglia che vedeva in tutte le cose, dalle infime alle grandi: naturali e tecniche, vegetali e animali. E’ qui che, incantato, osserva per primo il volo del nibbio e degli altri uccelli su cui un giorno scriverà un trattato. Qui, nella fabbrica di ceramiche del nonno, scopre di saper disegnare, inventare forme e stranezze, poi i congegni meccanici che lo appassionavano e i colori naturali con cui arricchire le forme; con il patrigno scopre le armi, con il nonno la materia delle cose. Questa fu la sua scuola. Scorrazzando per la campagna e i boschi e sotto la guida dello zio Francesco, studierà il cielo e le nuvole e gli altri fenomeni della natura.Il libro però rivela in filigrana il legame profondo e malinconico con Caterina e di questo struggimento Leonardo scriverà nei suoi Quaderni che “[…]Una medesima anima governa questi due corpi… La cosa desiderata dalla madre spesso son trovate scolpite in quelle membra del figlio… Una mente governa due corpi…”. In seguito, mentre conduceva e scriveva gli Studi anatomici annota: “L’anima della madre desta l’anima che di quel debe essere abitatore, la qual prima resta addormentata e in tutela dell’anima della madre…” per questa intuizione condotta alla ricerca del segreto della vita; quando indagò sul legame speciale tra la madre e il bambino nel suo grembo sviluppando l’intuizione che l’anima non fosse insufflata da Dio ma dalla donna che dà la vita, Leonardo si attirò l’accusa di stregoneria e, denunciato, rischiò perfino l’Inquisizione.
Il tempo del libro si snoda fino a Lionardo giovinetto che il padre accoglie, per studi e apprendistato in botteghe (Verrocchio…) nella sua modesta casa di Firenze insieme agli altri fanciulli della famiglia della nuova “mammina” , la Albiera eterea e delicata che forse fu un modello, con la “forte” figura della madre di tanti suoi dipinti; il tutto in trasparenza, come un velo di sentimento che permea ogni sembiante dipinto.
Editore: Pontecorboli Editore (15 aprile 2018)
Collana: Pontecorboli Editore